Mi trovavo a Otranto per i miei soliti giri di conoscenze del Salento. La telefonata arrivò in albergo mentre ero in giro. Al mio rientro trovai alla reception il messaggio urgente di chiamata ad Anagni in Ciociaria dove viveva Zì Cosima con una nipote.

Da molti anni conoscevo Zì Cosima che avevo incontrato durante le mie ricerche nel Salento. Fu l’unica tarantolata che non aveva voluto partecipare alle nostre ricerche di Antropologia Culturale.

Non aveva tutti i torti. In quel periodo il Salento fu setacciato da molti gruppi di ricercatori. Chi lo faceva per seguire le tracce di E. de Martino, chi per speculazione editoriale.

Avevo fatto la sua conoscenza tramite un mio nipote che aveva sposato una sua parente. Di conseguenza fui invitato alle nozze e guadagnai così un credito di fiducia nei miei confronti.

Fu così che venni a sapere dei malanni che affliggevano Zì Cosima.

Lentamente, nel tempo venni a conoscenza di tutti i percorsi e le testimonianze della sua esistenza di tarantolata. Malgrado fosse semianalfabeta sapeva usare termini precisi per quel che riguardava le varie terapie a cui si sottoponeva per superare le sue crisi.

Zì Cosima non era solo una tarantolata, aveva sia il “male di S. Donato” (epilessia) che “il ballo di S. Vito”, di conseguenza racchiudeva in sé tutte le ricchezze della magia del Salento e della Puglia.

Non avendo più parenti prossimi nel Salento viveva da molti anni con una sua nipote ad Anagni. Ma ci viveva molto male malgrado fosse amorevolmente accudita. Era pur sempre una donna di ottant’anni.

Ogni anno puntualmente all’avvicinarsi del periodo delle crisi, Zì Cosima entrava in uno stato emotivo molto forte, non mangiava per giorni, si agitava di continuo. Insomma non avendo più modo di superare la crisi attraverso la musica e il pellegrinaggio alla chiesa di S. Paolo a Galatina Zì Cosima se la passava veramente male.

D’altronde quelle terapie non si praticavano più da anni.

Oggi nel Salento l’unico rito è “La notte della Taranta” ad uso consumistico per i turisti.

Così feci la telefonata e venni a sapere che Zì Cosima era sparita. Da due giorni non riuscivano a ritrovarla. Si era allontanata da Anagni un mattino presto dicendo alla nipote che andava alla messa. Da quel momento non se ne seppe più nulla di lei.

Decisi di partire per Anagni per mettermi a disposizione della famiglia per delle ricerche. Era il minimo che potessi fare per quello che Zì Cosima mi aveva raccontato.

Lei viveva in una perenne attesa per l’avvicinarsi delle sue crisi, tutto era per lei naturale e il tempo era scandito dalle ripetizioni infinite degli stessi gesti, parole e musica. Quel tempo infinito che ritorna in circolo di anno in anno.

Arrivai al mattino presto e incontrai subito Rosa, la nipote. Mi disse che da un paio d’anni Zì Cosima si lamentava di continuo. Voleva ritornare nel suo Salento. Si sentiva fuori posto ad Anagni. Mi mostrò un quadernetto dove Zì Cosima, quando si sentiva triste scriveva nel suo povero italiano i suoi stati d’animo.

Pagina dopo pagina leggevo tutto il disagio che l’affliggeva: non poter fare i suoi balli, i suoi riti e i pellegrinaggi. Erano annotati dialoghi immaginari con S. Paolo, lo rimproverava perché non le veniva più in sogno. Si sentiva in colpa con sé stessa per non aver più ballato in suo onore.

Una pagina mi colpì. Parlava di acque benedette di sopra e di sotto, fonti benedette per purificarsi.

Dissi a Rosa che doveva fare un tentativo per rintracciare Zi’ Cosima, lei poteva continuare le ricerche con le autorità che si stavano interessando al caso.

Mi ero fatto una mia idea del percorso che Zì Cosima aveva avuto intenzione di fare. Se l’intuizione era valida dovevo andare nel Gargano a S. Michele Arcangelo.

Arrivai al paese sotto una pioggia a dirotto. Trovai un posto letto per un paio di giorni. Vi erano molti pellegrini in occasione della festività. Avevo molte foto di Zì Cosima che mostrai negli alberghi e nei luoghi del pellegrinaggio.

Alla chiesa di S. Michele il custode mi disse che giorni addietro una donna che le somigliava aveva fatto una strana richiesta: voleva una bottiglia d’acqua benedetta del pozzo adiacente alla chiesa.

Il giorno dopo che la richiesta era stata esaudita non l’aveva più vista. Ero sulla strada giusta.

La prossima tappa sicuramente sarebbe stata S. Vito oppure il Santuario di Montescuro Salentino perché lì terminano i pellegrinaggi dei malati di S. Donato.

Purtroppo arrivai anche lì in ritardo. Non mi restava che andare a Galatina. Lì sicuramente avrei accorciato il vantaggio di Zì Cosima, anche perché era la sua ultima tappa.

Arrivai in serata stanco e affamato. Andai prima a casa di Rocco una mia vecchia conoscenza e carissimo amico per metterlo a conoscenza dei fatti. Si mise subito a disposizione (nel Salento le amicizie sono sacre) e nel giro di un paio d’ore venimmo a sapere che Zì Cosima aveva cercato in tutti i modi di ritrovare i suoi vecchi musici che l’accompagnavano nel rito.

Poveretta non si rendeva conto che tutto era finito. Proprio in quei giorni fervevano i preparativi per “La notte della Taranta” a Perpignano. Ora la taranta la si esibiva ad uso e consumo da villaggio turistico.

I tempi erano cambiati senza che Zì Cosima si rendesse conto.

Al mattino presto con Rocco andammo alla chiesa di S. Paolo. Anche lì il sacrestano ci disse che due giorni prima Zì Cosima , dopo aver parlato con S. Paolo, chiese se poteva avere l’acqua del pozzo. Quel pozzo era stato chiuso dal parroco molti anni fa per evitare quel rito che secondo la nuova dottrina non era più in auge. Di fronte al diniego del sacrestano Zì Cosima avrebbe detto, come parlando con sé stessa, “ Io so dove finisce l’acqua della sorgente di S. Maria”.

Conoscevo quella tradizione e sapevo che il posto era a S Maria di Leuca punta estrema del Salento.

Salutai Rocco feci il pieno alla macchina e partii.

Arrivai all’imbrunire. Stava sorgendo all’orizzonte la luna tonda, rossa e possente. Camminai lentamente sugli scogli e chiamavo sottovoce Zì Cosima!, Zì Cosima !

Mi rispose una nenia appena sussurrata. Era il canto che nelle terre di Puglia le donne cantano per accompagnano i defunti. Un canto dolcissimo e triste che racconta tutta la vita del defunto.

Zì Cosima stava cantando la sua vita.

Mi avvicinai.

“Zì Cosima ci hai fatto penare”, dissi.

Mi fece cenno di sedermi vicino.

Dopo che ebbe terminato il canto mi disse: “Il mio tempo è finito, oggi S. Paolo mi ha parlato e mi ha detto Cosima ora che ti sei liberata dalle tue paure puoi dormire il tuo sonno giusto”.

Le presi la mano e le dissi: “ Ora andiamo a casa”.

Non parlò durante tutto il tragitto per Galatina.

Rocco aveva avvisato la nipote che arrivò il giorno dopo.

Zì Cosima fu sepolta nel cimitero di Galatina.

Alla cerimonia di sepoltura furono suonate le antiche note della taranta.

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A. Montanaro

Crediti immagine: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Tarantatalizzano.JPG

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